L’esperienza e lo sguardo di una socia volontaria

L’esperienza e lo sguardo di una socia volontaria

Si è appena concluso, con la fine dell’anno scolastico, il terzo anno del progetto “dal contagio emotivo all’empatia” portato avanti dalla nostra Associazione in collaborazione con il Comune di Torino a favore degli allievi delle scuole primarie. Quest’anno abbiamo coinvolto 35 classi con una media di 20-22 alunni per classe, in totale più di 700 bambini e 70 docenti.

Per la prima volta il nostro progetto è stato scelto anche da una classe della Scuola Media…… dove abbiamo invitato a parlare anche medici che hanno spiegato cosa sia l’epilessia e come possa condizionare la vita di un adolescente che si trovi ad affrontare questa malattia e condurre, comunque, una vita assolutamente normale fatta di studio e tempo libero come altri suoi coetanei.

Il laboratorio non ha subito modifiche rispetto al programma degli anni precedenti ed è condotto da uno Psicologo con la partecipazione, oltre che degli allievi e degli insegnanti, di un volontario della Associazione, ed è articolato in due giornate di due ore l’una con la seconda giornata maggiormente incentrata su che cosa sia l’epilessia raccontata attraverso una fiaba scritta appositamente da una madre di una bambina affetta da epilessia.

Il maggior spettro di classi coinvolte, che ha visto per la prima volta partecipare anche delle prime elementari ci ha permesso di meglio sviluppare alcune riflessioni che, negli anni precedenti erano solo state delineate. Innanzitutto anche i bambini più piccoli hanno ben chiaro cosa sia il concetto di disagio legato alla malattia nel senso più ampio possibile del termine e di cosa sia l’empatia come “calarsi nei panni di” e “essere vicini e capire” il compagno/a che ha bisogno di aiuto perché vive una particolare difficoltà legata a una malattia o situazione di svantaggio. Ponendosi, attraverso il gioco e il dialogo, a un livello paritario non da “adulto/bambino” e facendo capire che non si esprimono giudizi e non si esercitano interventi di autorità, i bambini si aprono e parlano di loro, dei loro disagi, delle loro situazioni e si confrontano, chiedono anche aiuto. Lasciandoli parlare liberamente vengono alla luce situazioni che vanno oltre all’iniziale “sono scontento o giù di tono perché la mamma mi fa alzare troppo presto la mattina per venire a scuola” oppure “ho litigato con mio fratello” o “sono al settimo cielo perché la mamma mi ha comprato il videogioco preferito”.

Per quanto concerne l’epilessia, è una malattia abbastanza conosciuta dai bambini o perché li coinvolge direttamente, o perché interessa parenti o nominata in loro presenza da adulti. E’ scaturito, chiaramente, che la capacità di ascolto di un bambino, spesso sfugge ai genitori ed adulti: “ne ha parlato mia mamma un giorno con mio padre (o altro parente)” è quanto da noi raccolto da più di un bambino/a. La stessa cosa si può dire di altre patologie. Le stesse maestre si sono spesso meravigliate di questo coinvolgimento da parte dei loro alunni e del loro livello di consapevolezza. Per quel che mi concerne, come volontaria senza alcun ruolo professionale se non quello di volontaria e testimone, sono rimasta sempre più favorevolmente colpita e coinvolta.

Posso testimoniare l’assoluta bravura e professionalità dei psicologi coinvolti nella conduzione del laboratorio che riescono a dialogare con i bambini mettendoli a loro agio.
Il laboratorio è stato scelto anche per la trasversalità del metodo e dell’argomento “disagio” ed “empatia” applicabile a qualsiasi patologia, non solo all’epilessia. Abbiamo incontrato allievi con problemi di salute alcuni affiancati da un insegnante di sostegno che hanno partecipato insieme agli altri studenti.

Purtroppo, in alcuni casi, come Associazione, durante l’incontro di presentazione e definizione del calendario con le scuole si è dovuto superare lo scoglio di una certa diffidenza e preclusione nei confronti del tema “epilessia” da parte di alcuni insegnanti che dimostrano come i pregiudizi sulla malattia siano ancora presenti e solo dopo il laboratorio e la risposta positiva agli stimoli al dialogo dei loro allievi, hanno ammesso di essersi sbagliati e essere stati troppo affrettati nel giudizio.

Tutte le insegnanti hanno indicato come elemento negativo del laboratorio la sua brevità, ma il nostro scopo è quello di gettare un seme e di tracciare un cammino da percorrere per spiegare ai bambini come affrontare la malattia e la eventuale “diversità” propria e degli altri e non rifiutarla, non negarla come spesso fanno gli adulti.

Le nostre forze come volontari e come Associazione ci permettono, al momento, il raggiungimento di questo non piccolo obiettivo, nella speranza di continuare a lavorare su questa strada e a sviluppare anche altre attività complementari.

Una nota statistica: la distribuzione territoriale delle scuole elementari coinvolte denota l’assoluta mancanza di risposta delle scuole della zona sud della Città, Santa Rita, Mirafiori Sud e Nord, Lingotto, etc.

Elisa Strobbia

Condividi questo post