Disturbi dell’apprendimento ed epilessia
Autore: dott.ssa Roberta Vittorini
Pubblichiamo l’articolo della Dott.ssa Roberta Vittorini, dirigente medico presso la S.C.D.U. in Neuropsichiatria Infantile dal 2010; svolge attività ambulatoriale presso il Centro di riferimento per l’Epilessia in età pediatrica dell’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino, di cui è responsabile il Prof. Capizzi. Svolge inoltre attività di consulenza neuropsichiatrica per i pazienti ricoverati presso i reparti di pediatria del medesimo ospedale; collabora di concerto con la SC di Neurochirurgia del suddetto Ospedale, con il centro di Chirurgia dell’Epilessia “Claudio Munari” dell’Ospedale Niguarda di Milano nella valutazione dell’iter prechirurgico dei pazienti pediatrici candidati alla chirurgia dell’epilessia.
Nella popolazione di bambini affetti dalle diverse forme di epilessia si possono riscontrare, in misura maggiore rispetto alla popolazione generale, disturbi dell’apprendimento e difficoltà neuropsicologiche. I fattori che influenzano questo tipo di associazione sono in gran parte determinati dall’eziologia dell’epilessia ma non solo: altri fattori infatti possono essere implicati quali l’età d’esordio e la durata dell’epilessia, la presenza o meno di una farmacoresistenza e la relativa frequenza degli episodi critici, il tipo di crisi e le terapia farmacologiche stesse. In generale la prevalenza dei disturbi dell’apprendimento sembra essere maggiore nei bambini più grandi ed in quelli in cui l’epilessia ha presentato un esordio più precoce. È anche importante ricordare come tali disturbi possano presentarsi in modo stabile durante la malattia o essere una condizione temporanea legata ad un particolare fase della malattia di quel bambino. In quest’ultimo caso è importante poter riconoscere eventuali fattori scatenanti o favorenti ed intervenire in modo appropriato con terapie specifiche o modifiche di terapie in corso. Un’altra considerazione da ricordare è che il tipo di epilessia (cioè il tipo di crisi ed eziologia) influisce sugli aspetti “stabili” delle funzioni cognitive come le performance scolastiche, la memoria, il quoziente intellettivo; l’attività epilettica parossistica cioè le anomalie epilettiformi e le crisi influiscono sugli aspetti cognitivi funzionali come la velocità di ragionamento, l’attenzione, la memoria a breve termine.
Rispetto all’eziologia dell’epilessia, i quadri che si associano alle difficoltà maggiori, intese come veri e propri ritardi cognitivi spesso sono associati a condizioni lesionali congenite, come nel caso di malformazioni complesse dello sviluppo corticale (es. lissencefalie, polimocrogirie…) o condizioni acquisite quali le asfissie perinatali, esiti di ischemie cerebrali o meningoencefaliti gravi, o a condizioni genetiche sindromiche quali ad esempio la sindrome di Angelman o la sindrome di Rett. In questi casi il danno cerebrale sottostante è quello responsabile sia dell’epilessia che dei disturbi dell’apprendimento. Il quadro cognitivo tuttavia può essere ulteriormente aggravato dalle crisi che, in molti casi, sono difficili da controllare farmacologicamente e possono presentarsi a frequenza anche pluriquotidiana. La condizione di crisi frequenti determina un disturbo delle normali attività cerebrali con frequenti interruzioni e necessità di recupero tra una crisi e l’altra, fattori che condizionano negativamente le possibilità del bambino di apprendere. Una condizione particolare è inoltre quella che viene definita “encefalopatia epilettica” in cui sembra proprio che le anomalie epilettiformi ad andamento continuo, oltre alle crisi frequenti, siano di per sé in grado di contribuire al progressivo disturbo delle attività cerebrali e al conseguente declino cognitivo. Situazioni di questo tipo possono riscontrarsi in sindromi epilettiche su base sintomatica di lesioni cerebrali strutturali o su base genetica (es. sindrome di Dravet) o criptogenetiche cioè in cui si suppone esista una causa organica dell’epilessia che non è ancora possibile dimostrare con i comuni esami a disposizione. Una condizione particolare di encefalopatia epilettica è quella che venne definita “Sindrome di Penelope” o ESES (Electrical Status Epilepticus during Sleep) cioè in cui si disfa la notte ciò che viene appreso durante il giorno. In questa condizione si osserva la presenza di anomalie epilettiformi ad andamento continuo che interessano più dell’85% del sonno del bambino. Tale attività patologica continua può essere responsabile nel tempo di calo del rendimento scolastico con peggioramento delle performance cognitive in particolare per quanto riguarda la sfera del linguaggio (come nel caso della Sindrome di Landau-Kleffner) o le abilità motorie con quadri di disprassie o il comportamento con possibili regressioni autistiche o altri deficit cognitivi. L’età di comparsa è generalmente compresa tra i 3 e i 14 anni e, nei casi su base idiopatica, va incontro a remissione in età infantile o adolescenziale pur potendo residuare in età successive una compromissione cognitivo-motoria-comportamentale. Questa compromissione può dipendere sia dalla durata dell’ESES che dalla sua eziologia.
Nell’ambito dei disturbi dell’apprendimento esiste una parte della popolazione con epilessia che non presenta ritardi cognitivi ma può incontrare difficoltà più settoriali negli apprendimenti scolastici come nel caso di disturbi specifici dell’apprendimento della lettura, della scrittura, del calcolo o delle abilità motorie. Gli studi più significativi in letteratura sono stati effettuati nella forma di epilessia rolandica benigna dell’infanzia in cui possono essere maggiormente presenti rispetto alla popolazione generale, difficoltà in questi ambiti specifici, in particolare nelle abilità di scrittura e lettura.
Rispetto all’utilizzo dei farmaci gli studi, presenti in letteratura riportano in generale performance cognitive peggiori per i farmaci di vecchia generazione, in particolare per il fenobarbital e nei casi di pazienti in politerapia. In queste ultime situazioni la necessità di ricorrere a più farmaci spesso è legata a condizioni di crisi difficili da controllare, fattore che, come già riportato, condiziona negativamente la prognosi cognitiva.
In conclusione si ribadisce l’importanza di effettuare le valutazioni delle funzioni cognitive il più precocemente possibile e di monitorizzarle nel tempo, vigilare sui possibili effetti collaterali dei farmaci e tenere sempre presente le diverse opzioni terapeutiche.